Le temperature non caldissime, un leggero ma triste venticello, le strade frequentate ma non affollatissime segnano questi primi giorni di maggio che porta con sé un’aura particolare, quella dell’incertezza. La lettura dei quotidiani e gli aggiornamenti dei bollettini che riportano notizie sulla pandemia immalinconiscono. Viviamo un tempo “delle passioni tristi” dove si è annullata l’esercitazione quotidiana di pazienza e speranza. Lo confermano i manifestanti nelle piazze d’Italia che gridando la loro fame di lavoro, quelli che un lavoro stabile non l’hanno mai avuto ed affollano i centri di sostegno alimentare e le Caritas diocesane, i ristoratori e gli operatori del turismo, la categoria più a rischio in questo particolare momento.
E’ ormai più di un anno che il nostro Paese è fermo a causa della pandemia, nonostante a settembre scorso sembrasse aver allentato la presa. Purtroppo, è ritornata dopo l’estate più feroce di prima con una seconda e terza ondata altrettanto devastanti, con tanti contagi e molti decessi. Nel frattempo, le varianti mietono migliaia di vittime in India e in Brasile.
I cittadini, però, chiedono pane e lavoro. I ristoratori, in grande difficoltà, vogliono l’eliminazione del coprifuoco e di misure di sicurezza troppo restrittive. Gli albergatori di poter accogliere gli stranieri per non bloccare i flussi turistici. Sono richieste legittime per coloro che rischiano la chiusura per sempre, di licenziare i propri dipendenti, di ritrovarsi dopo anni di sacrifici senza più un reddito.
E’ uno scenario da contrapposizione tra il contenere il virus – priorità sanitaria – e riaprire – priorità economica. La scienza e la tecnica hanno mostrato il loro volto “razionale” al mondo, parlano di una realtà pandemica fatta di numeri, statistiche, grafici e curve di contagio che aumentano o diminuiscono. Lo Stato, che dovrebbe essere portatore di valori etici e morali nella tutela di tutti i cittadini, è condizionato dal pericolo che possa scoppiare una nuova ondata, la quarta.
La tragedia è costruita su leggi scritte e non scritte, sui reali bisogni del popolo e su una fredda ragione scientifica, tra società e scienza, tra il diritto positivo e quello naturale, tra le necessità degli uomini e i motivi elencati dagli esperti, tra la ragion di Stato e la coscienza individuale. Sono letture queste possibili e motivate e colgono ognuna un aspetto della problematica complessa e difficile da spiegare e fare comprendere e accettare a tutti.
C’è una soluzione? La chiave di lettura del momento, arginare i contagi e potenziare il lavoro, non è senza soluzione indolore. E’ l’azione politica che deve agire giustamente e ponderatamente, sanare il conflitto di due mondi che si contrappongono fornendo risposte concrete, fatte di razionali mediazioni. E’ la politica che deve svolgere il suo ruolo più profondo e più elevato garantendo ordine sociale e benessere attraverso la salvaguardia della salute e la garanzia del lavoro. Le guerre si vincono con strategie dettate da forza d’animo, mezzi economici, mediazione politica, senso dello Stato e coesione sociale e solidarietà verso la comunità di destino. E’ un obbligo dello Stato accogliere le richieste sacrosante dei lavoratori attraverso efficaci interventi di sostegno: non è auspicabile una quarta ondata pandemica, ma nello stesso tempo evitare che alla peste segua la carestia.
Il teatrino politico in cerca di consenso a cui si assiste negli ultimi tempi è la negazione del valore della politica come servizio. Questo non è tempo di proclami avventati e demagogici per captare la benevolenza elettorale inseguendo i sondaggi, è il momento della sintesi dei valori dello Stato, del suo sviluppo, della sua difesa e del bene comune. E’ questo il momento storico, come nel dopoguerra, di ricostruire un Paese che ha bisogno di stabilità, concordia, armonia di intenti. Inseguire e manipolare le masse, spingerle alla disordinata rivolta cogliendo la necessità e i bisogni dei più deboli, non è degno di una politica saggia e protesa a trovare soluzioni per uscire dalla crisi sanitaria ed economica.
I fondi europei attraverso i Recovery Fund, il Fondo per la ripresa, ovvero 1.800 miliardi che l’Unione europea ha destinato ai 27 Paesi membri travolti dalla crisi del Covid -19, possono essere strategici per la ripartenza, in modo da ottenere uno sviluppo ecologico, digitale e resiliente. L’Italia potrà ottenere nel complesso, come ha dichiarato Draghi in Parlamento, 248 miliardi. Il nuovo New Deal italiano dovrà necessariamente basarsi su due punti principali. In campo economico, una sterzata rispetto alle scelte di questo ultimo decennio, con un pesantissimo intervento dello Stato a sostegno dei più strategici campi dell’economia, a partire dal turismo. In campo sociale, restituire agli italiani la fiducia nelle istituzioni con un massiccio Welfare che protegga le categorie più deboli abbattendo la disoccupazione, garantendo sicurezza sociale. A questo scopo va varato al più presto un programma di lavori pubblici, di infrastrutture indispensabili a rilanciare il turismo, l’istruzione, la sanità pubblica. Solo con questo programma riusciremo ad uscire dalla depressione economica e sociale in cui sta piombando il nostro Paese.