A quelle che vivono sotto un burqa; a quelle che vivono sotto un lifting; a quelle che annegano nel Mediterraneo; a quelle che annegano negli ansiolitici. A quelle sfigurate dall’acido; a quelle sfigurate dal botox.
A quelle che riempiono scarpiere grandi come biblioteche. A quelle che di scarpe non ne indosseranno mai più, perché i loro passi sono stati spezzati.
A quelle che stasera escono con le amiche per vivere l’eccesso di una notte di trasgressione. A quelle che possono uscire solo stasera, perché una volta l’anno è lecito far pazzie ma per il resto dell’anno no.
A quelle a cui non è consentito invecchiare; a quelle a cui non è consentito crescere; alle schiave bambine, alle donne invisibili, a quelle che non possono studiare, parlare, scegliere. A quelle che fuggono dalla guerra con i bambini in braccio e il rumore delle bombe nelle orecchie.
A quelle che si spezzano le unghie contro un soffitto di cristallo. A quelle che sanno che non si è fatto abbastanza; a quelle che credono che non ci sia più niente da fare.
A quelle che non hanno tutele e subiscono torti e umiliazioni in ogni angolo del mondo. A quelle che i torti e le umiliazioni le subiscono in casa o in ufficio.
A tutte noi che ogni anno ci chiediamo il senso di questa ricorrenza ma continuiamo, testarde, a cercarlo. A tutte quelle che non se lo chiedono più, perché morte per mano di chi diceva di amarle.
A tutti noi: buon 8 marzo, comunque…