La storia delle donne romane, dice Eva Cantarella nel saggio Passato prossimo, merita particolare attenzione perché è proprio in quell’epoca che si definisce una relazione tra generi, destinata a durare fino alla modernità. Le donne, dice la storica, cedono la loro possibilità di ottenere potere, saldamente in mano agli uomini, in cambio di una vita protetta e con qualche concessione. Esse erano custoditi dei valori del mos maiorum e lo trasmettevano ai figli che ereditavano mentalità e modelli di comportamento di un mondo pensato e fatto dagli uomini, ma condiviso e introiettato dalle donne. In cambio le mulieres ottenevano privilegi sociali ed economici: poter mostrare gioielli, poter usare carri in città, non pagare le tasse sui patrimoni ereditati. Paradossalmente furono proprio le donne che posero limiti alla propria indipendenza non operando mai con un’azione collettiva e consapevole ma accontentandosi di quelle briciole di libertà fatte pesare dal sistema come grandi vantaggi ed enormi passi in avanti. Quindi non solo non si può parlare di mentalità femminista nell’antichità romana, ma addirittura si definiscono i termini di quel rapporto che proprio tramite le donne consente la trasmissione di modelli patriarcali. Le matronae, soddisfatte dello scambio che veniva loro proposto stabilirono con gli uomini quel patto che doveva sancire fino ad oggi il destino di subalternità femminile. Il rapporto di genere del mondo romano consente di leggere tutta la storia delle donne fino ad ora, o per meglio dire fino alla nascita del femminismo inteso come consapevolezza dei diritti negati e lotta per l’acquisizione di essi, in questa chiave. E spiega anche perché in quelle parti del mondo o in quelle culture in cui la donna è ancora invisibile, la trasmissione dei valori di una società maschile passi attraverso le donne della famiglia, in primis la madre.
Il futuro dell’universo femminile ci propone, invece, per fortuna dopo tante lotte, un modello di donna fortemente impegnata nel presente a tutela di un ecosistema che si sta lentamente disgregando e di cui tutti noi dovremmo prendere atto. Laura Cima – in L’ecofemminismo in Italia. Le radici di una rivoluzione necessaria – mette in evidenza come la natura sia stata inferiorizzata e dominata, in modo simile a quello che è avvenuto nel corso della storia delle donne. Il termine ecofemminismo (dal francese écoféminismé) risale a un lavoro di Françoise d’Eaubonne del 1974, Feminism or Death, in Italia prende piede tra il 1985 e il 1986 specialmente dopo Chernobyl.
La concezione meccanicistica della natura utilizza non a caso un linguaggio che evoca la conquista di un mondo, quello naturale, quasi sempre definito vergine, utilizzando una terminologia tipica del mondo maschile. Si tratta, quindi, oggi, non solo di abbracciare la consapevolezza che il rapporto con la natura va affrontato da tutti in termini corretti e rispettosi ma in sostanza per noi donne di concorrere a destrutturare il potere che il maschio padrone ha avuto fino ad ora, sulla donna come sulla natura. Ad una relazione di dominio se ne deve sostituire un’altra di rispetto e parità, di accoglienza e gentilezza, verso l’habitat che tutti ci accoglie senza distinzione di genere. Quindi un inquinamento non solo ambientale ma anche e soprattutto ideologico quello che va combattuto, una sostituzione di valori femminili a quelli maschili quello che va realizzato.
Oggi con il cambiamento climatico cui stiamo assistendo la voce delle donne è sempre più significativa e densa di messaggi. Ambientalismo e istanze femminili sono fortemente legate se solo pensiamo alle zone povere del mondo dove il degrado della natura amplifica le disuguaglianze sociali.
C’è ancora tanto da fare, l’8 marzo non è una festa ma un momento di riflessione su quanto cammino si deve ancora percorrere per la parità e su quante ingiustizie ancora si deve lavorare perché questo giorno non venga finalmente più celebrato.