Azzurro il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me…c’è bisogno di dire ancora qualcosa su questi versi, chi li ha scritti, chi li ha cantati? Certo che no, eppure non si può fare a meno di partire sulle ali della nostalgia quando inizia la musica.
Ancora di più in questi giorni in cui si offrono onori regali al menestrello per eccellenza della canzone italiana, l’Adriano nazionale, di cui ricorre il 6 gennaio il compleanno. Sembra quasi strano attribuire ad un’icona della nostra gioventù un cumulo d’anni di tal fatta. Ma se il Molleggiato ha tanti anni, io, i miei amici, i miei parenti, siamo anziani, depositari di una storia, quella del Novecento, ormai superata, che non può confrontarsi con quella attuale, se non altro per la lentezza degli eventi trascorsi.
Adriano nasce nel 1938 prima della Seconda guerra mondiale, è il 1957, quando partecipa con i Rock Boys al primo festival del rock’n’roll, è il 1959 quando canta Il tuo bacio è come un rock”, è il 1961, quando canta, a Sanremo, 24 mila baci. Noi dove eravamo e soprattutto come eravamo? Diversi certo, eppure gli stessi, come il nostro idolo. In questo lungo lasso di tempo, Celentano ha saputo interpretare tutti, o quasi tutti, i cambiamenti sociali e di costume. E’ stato l’espressione di una volontà tipicamente italiana di cambiamento, rimanendo nel solco di una tradizione culturale consolidata e rassicurante. Niente a che vedere con quanto negli anni ’60 succedeva in Francia o negli Usa. Simbolo di questo tenersi stretto alla propria identità è stata la collanina con il crocefisso sempre al collo, in qualunque circostanza e per qualunque apparizione. La sola vista di quel simbolo dava a tutte le generazioni una chiave di lettura meno trasgressiva degli eventi: i tempi cambiano, la storia sovverte la tradizione, ma ci sono dei punti fermi.
Tutti abbiamo amato Celentano: nonne, madri, zie, tutti abbiamo cantato i suoi testi, non tutti abbiamo amato il suo porsi come profeta. Ma forse è stata più una tendenza giornalistica a cercare il guru cui rifarsi in situazioni di difficoltà che una scelta consapevole del personaggio, sempre sorprendentemente naif, sempre legato alle sue radici di figlio di emigrati pugliesi.
Fin quando canterà, da solo o negli eccezionali duetti con Mina, ci sembrerà di essere ancora giovani, se ce la fa lui a cantare a 81 anni con quella splendida voce, posso anche io ancora amare, correre, andare in palestra, litigare … ho la forza per vivere tutte le situazioni che la vita mi offre.
Duecento anni di vita a Celentano, dunque! Se c’è lui ci sono anche io, spero.